Storia Militare
L’ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI (3 novembre 1918)
di Alfonso Magro
La vittoria dell’Italia contro l’Austria, sebbene agevolata dalla crescente disgregazione dell’Esercito austro-ungarico, fu la conclusione di una tremenda lotta condotta con tenacia per tre anni e mezzo, durante i quali le Forze operative nazionali si dimostrarono un potente strumento di guerra, in grado di reggere pienamente il confronto con quelle dei più accreditati Paesi europei.
Con la vittoria, inoltre, venne sfatata la leggenda che classificava gli italiani incapaci di battersi e ciò fu testimoniato dalle impressionanti perdite subite durante l’intero conflitto: 680.000 Caduti, più di un 1.000.000 di feriti, dei quali 675.000 circa rimasero mutilati.
La conclusione della Grande Guerra fra l’Italia e l’Austria fu sancita a Villa Giusti presso Padova il 3 novembre 1918 dai plenipotenziari dei due Paesi, regolarmente autorizzati, che dichiararono di approvare le condizioni dell’armistizio tra le Potenze alleate e l’Austria stessa.
Tali condizioni prevedevano per l’Austria, in particolare, il rimpatrio immediato di tutti i prigionieri di guerra e della popolazione civile fatta sgomberare, nonché la cura degli ammalati e dei feriti non trasportabili da parte di personale austro-ungarico, lasciati sul posto con i medicinali necessari.
In materia di armamento pesante, l’Austria doveva consegnare la metà del materiale complessivo dell’artiglieria divisionale e di Corpo d’Armata, con il corrispondente equipaggiamento, ad iniziare da tutto quello che si trovava sui territori da evacuare; la cessione delle artiglierie, per il fronte italiano, doveva effettuarsi nelle località di Trento, Bolzano, Pieve di Cadore, Stazione per la Carnia, Tolmino, Gorizia e Trieste.
Per le navi da guerra, il Governo di Vienna assicurava l’afflusso a Venezia, con il loro armamento ed equipaggiamento, di 3 corazzate (“Tegenthoff”, “Prinz Eugen” e “Ferdinand Max”), di 3 incrociatori leggeri (“Saida”, “Novara” ed “Helgoland”), di 15 sommergibili austriaci costruiti dal 1910 al 1918, nonché di quelli tedeschi presenti nelle acque territoriali austro-ungariche, di 9 cacciatorpediniere da 800 tonnellate, di 12 torpediniere da 200 tonnellate e della nave posamine “Camaleon”.
Dal punto di vista territoriale, infine, l’Austria s’impegnava a sgomberare tutte le aree occupate dall’inizio della guerra e a ritirare le forze austro-ungariche oltre la linea così stabilita:
“… Dal Pizzo Umbrail fino a nord dello Stelvio, essa seguirà la cresta delle Alpi Retichefino alle sorgenti dell’Adige e dell’Isargo passando per Reschen, il Brennero e i massicci dell’Oetz e dello Ziller; quindi volgerà verso sud attraverso i monti di Toblach e raggiungerà la frontiera delle Alpi Carniche seguendola fino ai monti di Tarvis. Correrà poscia sullo spartiacque delle Alpi Giulie per il Predil, il Mangart, il Tricorno, i passi di Podberdo, di Podlaniscan e di Idria; a partire da questo punto la linea seguirà la direzione di sud-est verso il Monte Nevoso (Schneeberg), lasciando fuori il bacino della Sava e dei suoi tributari; dallo Schneeberg scenderà al mare includendo Castua, Mattuglie e Volosca, Analogamente tale linea seguirà i limiti amministrativi attuali della provincia di Dalmazia, includendo a nord Lisarica e Tribanj e a sud tutti i territori fino ad una linea partente dal mare vicino a Punta Planka e seguente verso est le alture formanti lo spartiacque, in modo da comprendere nei territori evacuati tutte le valli e i corsi d’acqua che discendono verso Sebenico, come il Cikola, il Kerka, il Butisnica e i loro affluenti. Essa includerà anche tutte le isole situate a nord e ad ovest della Dalmazia: da Premuda, Selve, Ulbo, Skerda, Maon, Pago e Puntadura a nord, fino a Meleda a sud, comprendendovi Sant’Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Tercola, Curzola, Cazza e Lagosta, oltre gli scogli e gli isolotti circostanti, e Pelagosa, ad eccezione solamente delle isole Grande e Piccola Zirona, Bua, Solta e Brazza”.
Le condizioni dell’armistizio, nei termini territoriali così concordati, furono esposte il 18 gennaio 1919 nella Conferenza della Pace di Parigi, in cui l’Italia, rappresentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Vittorio Emanuele Orlando, nonché dal Ministro degli Esteri Giorgio Sonnino, chiese l’esecuzione integrale di quanto l’Intesa aveva promesso nel Patto di Londra del 26 aprile 1915, alla vigilia dell’ingresso italiano in guerra.
Gli accordi del Patto di Londra, tuttavia, non poterono essere completamente onorati, in particolare per l’annessione dei territori balcanici, poiché nel frattempo si era costituito il Regno di Jugoslavia, che reclamava la sovranità sugli slavi dell’Istria e della Dalmazia e, da tali questioni adriatiche, derivò un accentuato conflitto fra l’Italia e il resto dell’Intesa.
I lavori della Conferenza di Pace, in ogni caso, procedettero e si conclusero in una serie di trattati in diverse località francesi e, quello d’interesse dell’Italia, fu ratificato il 10 settembre 1919 a Saint Germain en Laye, in base al quale l’Austria cedette il Trentino e l’Alto Adige fino al Brennero, la Venezia Giulia, Trieste e alcuni territori in Dalmazia, in Istria e in Carniola[1].
Il conflitto fra l’Italia e la Jugoslavia, nel frattempo, si aggravò quando l’Intesa prese la decisione di fare evacuare Fiume dalle Forze italiane, che fino allora l’avevano occupata e di farla presidiare da unità alleate, in attesa della soluzione finale del problema.
Il ritiro delle Forze italiane, tuttavia, ordinato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Saverio Nitti, da poco subentrato a Vittorio Emanuele Orlando, provocò nel Paese una violenta campagna nazionalista, che insistendo sul tema della “vittoria mutilata”, arrivò anche ad accusare il Governo di tradimento verso la Patria.
In tale situazione Gabriele d’Annunzio, con una colonna di volontari e con l’appoggio – più o meno palese – delle Autorità militari italiane della zona, marciò d’iniziativa su Fiume, dove nel settembre del 1919 s’insediò a capo di un Governo provvisorio, denominato “Reggenza del Carnaro”.
Il contenzioso con la Jugoslavia fu ricomposto il 12 novembre del 1920 con il Trattato di Rapallo, in base al quale l’Italia rinunciò alla Dalmazia conservando tuttavia Zara, il porto più importante della costa dalmata, a fronte della rinuncia della Jugoslavia ad ogni rivendicazione sull’interno dell’Istria; si stabilì, inoltre, che Fiume rimanesse una città libera, conservando la propria fisionomia italiana, con alcune facilitazioni alla Jugoslavia per il suo sbocco al mare.
Mentre era in atto il lavoro della diplomazia italiana, dal dicembre del 1918 il Regio Esercito e la Regia Marina iniziarono la smobilitazione, allo scopo di ridare ai rispettivi organismi militari le dimensioni del tempo di pace e di ridurre le spese derivanti dal mantenimento alle armi di un’ingente quantità di uomini.
L’operazione, tuttavia, venne avviata con gradualità, al fine di non riversare contemporaneamente sul Paese tutto il personale in esubero, nel momento in cui la Nazione, dovendo passare dalla produzione bellica alla normalità del tempo di pace, non era in grado di offrire ai congedati ampie possibilità di lavoro.
In tale contesto, anche i reparti del Regio Esercito di non previsto scioglimento rientrarono nelle sedi stanziali gradualmente, poiché furono impegnati, in supporto all’Arma dei Carabinieri Reali e alla Regia Guardia di Finanza, nel presidio e nel controllo dei territori liberati.
Bibliografia:
- Comando Supremo R. Esercito Italiano, Armistizio di Villa Giusti (3 novembre 1918), Sezione Tipo – Litografica del Comando Supremo, 1918;
- Spini Giorgio, Disegno storico della civiltà – Vol. III, Edizioni Cremonese, Roma, 1963;
- Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, L’Esercito Italiano – Dal 1° tricolore al 1° centenario, Tipografia Regionale, Roma, 1961.
Tratto da: Magro Alfonso, La Grande Guerra – Le operazioni in Italia e all’estero, Redaprint, Cavaion Veronese (VR), 2017.
[1]Regione storica situata nell’alto bacino del fiume Sava, posta tra il Friuli, la Carinzia, la Stiria, la Croazia e l’Istria; dopo la Grande Guerra la stessa cessò di esistere politicamente, poiché la maggior parte del suo territorio fu annessa al nuovo Regno di Jugoslavia, mentre il settore occidentale, con i centri abitati di Postumia, Idria, Vipacco e Sturie, venne passato al Regno d’Italia. Al termine della seconda guerra mondiale la Carniola, con la sua capitale storica, Lubiana, fu il nucleo fondatore dell’attuale Repubblica di Slovenia.
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