Storia Militare
La battaglia di Pastrengo
di Alfonso Magro
I precedenti
Dopo un mese dall’inizio della prima guerra per l’indipendenza d’Italia l’Armata Sarda, agli ordini di Carlo Alberto, Re di Sardegna, si trovava schierata sulla sponda lombarda del fiume Mincio, con due Corpi d’Armata e una Divisione di Riserva.
Il piano operativo elaborato dallo Stato Maggiore piemontese consisteva nell’impadronirsi al più presto di Peschiera, nel fissare Mantova e nel muovere con il grosso delle forze su Verona, in attesa d’impegnare l’Esercito Austriaco in campo aperto.
Il 26 aprile il Sovrano, una volta posto l’assedio alla fortezza di Peschiera con la Brigata “Pinerolo”, ordinò all’Armata Sarda di varcare il Mincio e di rischierarsi fra Villafranca e il lago di Garda, per minacciare la piazzaforte di Verona e per completare l’isolamento di Peschiera anche dal Veneto.
Nei tre giorni successivi, il I Corpo d’Armata prese posizione sulle colline attorno a Custoza senza incontrare resistenza, mentre il II si diresse verso Pastrengo, sostenendo con successo gli scontri a fuoco del 28 e del 29 a Colà (ora Colà di Lazise) e a Sandrà.
Il giorno 29 il re Carlo Alberto decise d’impossessarsi delle alture attorno a Pastrengo, impiegando il II Corpo d’Armata, allo scopo di assicurare il fianco sinistro dello schieramento e di chiudere agli austriaci la via di comunicazione lungo la valle dell’Adige.
Le forze contrapposte
Le alture di Pastrengo erano presidiate dalla Divisione austriaca del generale Gustav von Wocher, con la Brigata “Wohlgemuth” avanzata, a circa un chilometro a sud est dell’abitato, nonché con la Brigata “Arciduca Sigismondo” arretrata, nella zona di Piovezzano, che aveva distaccato l’VIII battaglione cacciatori a Ponton a presidio del ponte sull’Adige.
Costituivano la Divisione 7 battaglioni di fanteria, mezzo squadrone di cavalleria e 2 batterie di artiglieria, per un totale di 7.228 uomini, 12 cannoni e 3 racchette (arma di piccolo calibro adibita al lancio di proiettili illuminanti).
Il generale Ettore Gerbaix de Sonnaz, Comandante del II Corpo d’Armata, per condurre l’azione offensiva contro Pastrengo articolò il dispositivo su 3 Colonne, con base di partenza rispettivamente a Colà, a Sandrà e a Santa Giustina (ora Palazzolo), agli ordini del:
− generale Giovanni Battista Federici, con la Brigata “Piemonte” (3° e 4° Reggimento Fanteria), la 3a compagnia bersaglieri, la 1a batteria da battaglia e i volontari piacentini;
− duca Vittorio Emanuele di Savoia, con la Brigata “Cuneo” (7° e 8° Reggimento Fanteria), il 16° Reggimento Fanteria, la 7a batteria da battaglia, una sezione di artiglieria parmense e truppe parmensi;
− generale Mario Broglia di Casalborgone, con la Brigata “Savoia” (1° e 2° Reggimento Fanteria), la 1a e la 4a compagnia bersaglieri, nonché la 2a batteria da posizione,
per una forza complessiva di 13.708 uomini e 26 cannoni.
Completavano il II Corpo d’Armata le Riserve schierate a sud di Sandrà: la Brigata “Regina”, con il 9° e il 10° Reggimento Fanteria, la Brigata “Guardie”, con il 1° e il 2° Reggimento Granatieri e i Reggimenti di Cavalleria “Savoia” e “Genova”.
La fase iniziale
Alle ore 09.00 la Colonna di sinistra (“Federici”) iniziò l’avvicinamento da Colà e alle ore 11.00 giunse in località Le Saline, senza incontrare resistenza; le Colonne di centro (“Vittorio Emanuele”) e di destra (“Broglia”), invece, non mossero alla stessa ora, in attesa dell’attacco del I Corpo d’Armata contro Bussolengo, per impedire alla Brigata austriaca “Taxis” di portarsi a Pastrengo.
Poiché tale azione all’ultimo momento fu sospesa, il generale De Sonnaz fece fermare la Colonna di sinistra e, alle ore 11.00, ordinò alle Colonne di centro e di destra l’inizio dell’avvicinamento (si disse erroneamente che, essendo il 30 aprile di domenica, il ritardo fosse stato determinato dalla disposizione del Sovrano di fare assistere i reparti alla Santa Messa).
Quest’ultime, tuttavia, procedettero con maggiore lentezza, poiché la prima venne ostacolata dalla resistenza di avamposti austriaci annidati sul monte Romualdo (ora monte Crocetta), mentre la seconda fu rallentata dagli acquitrini generati dal torrente Tione nei pressi di cascina Oca.
Alle ore 13.00 la Colonna “Federici” si attestò sulle alture di Montalbero e la Colonna “Broglia” giunse in località Osteria Nuova, alla base del monte San Martino (ora poggio Del Telegrafo), mentre la Colonna “Vittorio Emanuele” stava ancora superando la zona paludosa del Tione.
Il re Carlo Alberto era presente sul campo e, non vedendo procedere la Colonna di centro, si portò presso cascina Mirandola per controllare di persona la situazione, ma durante il suo trasferimento quest’ultima superò l’acquitrino e si riordinò in prossimità del monte Le Bionde.
Alle ore 14.00 tutte le unità erano pronte per iniziare l’attacco: la Colonna “Federici” impegnò le difese nemiche fra le Costiere Basse e il monte Delle Brocche, la Colonna “Vittorio Emanuele” investì le posizioni del monte Le Bionde e la Colonna “Broglia” iniziò l’azione contro il poggio Del Telegrafo.
La carica dei Carabinieri Reali e la fase finale
Allo scopo di seguire le operazioni anche nell’altro lato del settore, il re Carlo Alberto si spostò sul monte Valena, situato fra le Colonne di centro e di destra, ma una volta raggiunta la quota, decise di portarsi sull’altura più avanzata del monte Le Bionde; mentre il Sovrano e il suo seguito si trovano già sulla strada che separa le due quote in località Porte del Loo (Porte del Lupo), l’avanguardia reale fu fatta segno a fuoco da parte di una squadra avversaria comandata dal sergente Bruchmaner, distaccata dalle unità della Brigata “Wohlgemuth” schierate sul monte Le Bionde.
Il maggiore Alessandro Negri di Sanfront, Comandante dei tre squadroni carabinieri della scorta reale, formata complessivamente da 264 uomini a cavallo, intuì il pericolo a cui andava incontro il Sovrano e, d’iniziativa, si lanciò alla carica contro i reparti austriaci a difesa del monte Le Bionde.
La rottura dello schieramento avversario sul monte Le Bionde fu l’elemento decisivo della battaglia: la Colonna “Broglia” s’impadronì del poggio Del Telegrafo e puntò su Pastrengo dall’alto del costone, la Colonna “Vittorio Emanuele” scavalcò il monte Le Bionde e assaltò l’abitato dal piano, mentre la Colonna “Federici” superò le Costiere Basse e occupò la località di Corné.
Al fine di contenere la pressione delle unità sarde sul fianco, il generale Wocher inviò un’aliquota della Brigata “Arciduca Sigismondo” contro la Colonna “Federici” e tentò la resistenza all’interno di Pastrengo con la Brigata “Wohlgemuth”, ma non essendo riuscito a controllare la situazione per l’incalzare dei piemontesi, ordinò la ritirata su Ponton e il ripiegamento oltre l’Adige.
La battaglia si concluse poco prima del tramonto, con un bilancio di 15 Caduti e di 90 feriti per l’Armata Sarda, a fronte di 24 Caduti, di 147 feriti e di 383 prigionieri per l’Esercito Austriaco.
Dall’inizio della guerra, la vittoria del 30 aprile 1848 a Pastrengo costituì il primo rilevante fatto d’armi dell’Armata Sarda, che con l’eliminazione della testa di ponte austriaca verso Peschiera e con il fianco sinistro dello schieramento salvaguardato da offese nemiche, fu così in grado di muovere contro le forze avversarie a presidio di Verona.
Bibliografia
Comando del Corpo di Stato Maggiore – Ufficio Storico, Relazione e rapporti finali sulla campagna del 1848 nell’Alta Italia, Roma, 1908;
Vittorio Gorini, I Carabinieri Reali a Pastrengo (30 aprile 1848), Tipografia Enrico Voghera, Roma, 1911;
AA.VV., Enciclopedia Militare, Casa Editrice Il Popolo d’Italia, Milano, 1927-1933;
Michele Rosi, Dizionario del Risorgimento Nazionale, Casa Editrice Vallardi, Milano, 1930;
Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento – Guerre e insurrezioni, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1962;
Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Arnaldo Ferrara, Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri – Le Origini – Dalla Fondazione alla Carica di Pastrengo, Roma, 2004;
Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Arnaldo Ferrara, Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri – Verso l’Italia unita – Dalla Carica di Pastrengo alla vigilia della Terza Guerra d’Indipendenza, Roma, 2005.
Fai un commento